S’y mire, s’y lave et s’y noie

Atlante Sonoro XXI
15 aprile 2012
Ex-Mattatoio
Piazza Giustiniani, Roma

vai al programma di 14 e 15 aprile


Lorenzo Romano (1985)
S’y mire, s’y lave et s’y noie (2011)
Freon Ensemble
Keiko Morikawa, voce; Giuseppe Pelura, flauto
Marco Caverni, sax; Orietta Caianiello, pianoforte

 

Note e testi
Descrivere la propria musica come potrebbe fare un musicologo alle prese con un brano della nostra tradizione musicale, rappresenta un doppio problema difficilmente risolvibile da un compositore. Da una parte è impossibile che l’autore possa distaccarsi così tanto da una sua creazione per farne un’analisi esaustiva. Dall’altro lato, il compositore, che si esprime tramite un mezzo ricco di stimoli emotivi, come i suoni, e privo di simboli referenziali, com’è la scrittura, prova sempre un certo pudore a indirizzare un’interpretazione univoca. Lo scopo utopico cui vorrebbe tendere è quello di rinnovare la sua musica di contenuti sempre nuovi tutte le volte che essa entra in contatto con ogni uditore durante l’esperienza dell’ascolto. Questa è la ragione per cui nelle presentazioni ai miei pezzi cerco solo di fornire degli spunti, dei percorsi di ascolto liberi di diramarsi e personalizzarsi il più possibile durante la fruizione della musica.

Trovandomi a presentare il mio pezzo di copertina per una rivista di critica, mi sono posto la sfida di raccontare la mia musica nella maniera più approfondita e analitica possibile. Considerando i due grossi impedimenti descritti sopra, sono arrivato alla conclusione che un modo valido per essere musicologo di me stesso, fosse quello di accettare pienamente il mio ruolo di compositore e cercare di descrivere attentamente il mio percorso che ha portato al prodotto finito.

Quando mi è stato richiesto di comporre questo pezzo per flauto, sax, pianoforte e voce; avevo in mente da tempo un progetto che si proponesse di unificare elementi eterogenei in una narrazione lineare e coerente. Avevo già delle idee musicali e sapevo di avere bisogno di un testo che non avesse una forma già definita, ma che fosse sufficientemente elastico da adattarsi al mio percorso musicale, in modo da stabilirci una relazione biunivoca portatrice di nuovi significati. Per arrivare a quest’obiettivo mi sono proposto di comporre il testo con citazioni tratte da fonti diverse, ma unificate da un forte tema comune: l’amore.

TESTI e AUTORI

Á douze ans j’ai décidé d’être belle
Mon Mec est un poète  
Tiqqun, Premiers matériaux pour une théorie de la Jeune-Fille.

Jeune fille, l’amour c’est d’abord un miroir
Victor Hugo, Sonetto.

My bounty is as boundless as the sea,
My love as deep, the more I give to thee,
The more I have, for both are infinite.
William Shakespeare, Romeo and Juliet.

Être amoureux : un dopant qui réduit le stress
Tiqqun, cit.

Ho tante cose che ti voglio dire
Luigi Illica e Giuseppe Giacosa

O una sola, ma grande come il mare,
Come il mare grossa ed infinita…
Sei il mio amore e tutta la mia vita
Bohème di G.Puccini.

Faut pas qu’ je m’attache, tu comprends
Tiqqun, cit.

E amore un ladroncello, 
Un serpentello amor 
Ei toglie e da la pace,
Come gli piace al cor
Lorenzo da Ponte, Don Giovanni di W. Mozart.

Meine Ruh’ ist hin Wolfgang Goethe, 
Mein Herz ist schwer Gretchen am Spinnrade.
Faust/ F. Schubert

Les chagrins d’amour me font perdre trois kilos 
Tiqqun, cit.

Mein armer Kopf 
Ist mir verrückt
Mein armer SinnIst mir zerstückt
Goethe/ Schubert.

Il testo è stato montato in modo tale da creare una drammaturgia suddivisa in tre momenti distinti, corrispondenti a loro volta a delle sezioni musicali definite. Queste tre parti seguono le tre fasi dell’amore della Jeune Fille: il rispecchiamento della giovane ragazza nell’amore, il suo immergercisi completamente e il suo affogarcisi soffrendo. L’elemento unificante di questi testi, interconnessi su molteplici piani, è che, pur declinando l’amore dal punto di vista di una giovane donna, sono stati scritti tutti da uomini.

Le frasi in francese di natura colloquiale, le ho tratte da un testo di un gruppo di filosofi denominato Tiqqun: Premiers matériaux pour une théorie de la Jeune-Fille. Questo saggio critica acremente la società dell’immagine e dei consumi personificata dal concetto filosofico della giovane ragazza che anima il consumo e allo stesso tempo lo alimenta tramite il suo corpo. La Jeune-Fille è definita come merce che si è fatta carne.

Non ero molto interessato al contenuto del saggio, molto più alla sua forma: una serie di piccoli paragrafi che contrapponevano riflessioni feroci sulla società attuale a frasi volgari messe in bocca alla Jeune-Fille. Quest’ultime citazioni sono state il mio punto di partenza.

A tali frasi ho contrapposto testi di diverso valore letterario e musicale. Ho utilizzato dei versi di Shakespeare, tratti dalla scena del balcone di Romeo e Giulietta. Questi versi hanno un grande valore letterario, ma non hanno una grande tradizione di messa in musica. Ho trovato poi un passo della Boehme di Puccini nel quale i librettisti L. Illica e G. Giacosa traducono e parafrasano proprio il testo di Shakespeare da me utilizzato: questo passo, preso da un libretto d’opera, diviene compiuto solo rispetto alla musica di Puccini. C’è un’aria di Mozart, presa dal Così fan tutte, in cui valore letterario e quello musicale raggiungono insieme un felice equilibrio. Infine, il punto di arrivo è rappresentato da un passo del Faust di Goethe utilizzato da Franz Schubert per uno dei suoi più famosi Lieder. E’ uno dei pochissimi casi in cui il compositore riesce a utilizzare un testo fondamentale della letteratura occidentale, trasfigurandolo in un capolavoro musicale. Il titolo, S’y mire, s’y lave et s’y noie è l’ultimo verso di un sonetto di Victor Hugo in cui l’autore paragona l’amore provato da una giovane ragazza a un lago: Jeune fille l’amour c’est d’abord un miroir. Come si può facilmente notare, se da una parte sintetizza la struttura drammaturgica, dall’altra ha al suo centro la Jeune fille. La stessa Jeune-Fille criticata da Tiqqun.

I nuovi significati acquisiti dalla contrapposizione dei vari testi tra loro, si arricchiscono ancora di più entrando in relazione con la musica.

La prima parte, che finisce con la prima citazione di Hugo ha la funzione di introduzione. Il pezzo comincia con il soprano che parla, dopo poco tempo il suo parlare si libera dal suo valore semantico e, mischiando le sillabe tra di loro, s’immerge in una dimensione musicale. Il sax imita la voce del soprano con dei suoni che creano un’ombra alle sue parole. Da qui si sviluppa una sezione in cui gli strumentisti cantano dentro lo strumento imitando il soprano, recitano il verso iniziale del sonetto di Victor Hugo, o fanno da ombra al parlato della cantante attraverso i suoni. La cantante continua la sua recitazione, alternandola a delle note lunghe in corrispondenza delle vocali, in maniera tale da imitare il suono degli strumenti. Se da una parte tutti e quattro i musicisti coinvolti cercano di mimetizzarsi tra di loro, creando un unico suono, dall’altra, avviene una contrapposizione netta tra mondo del suono parlato e quello del suono strumentale. Questa parte, oltre a insistere sull’idea di specchio suggerita dal sonetto di Hugo, pone le basi delle sezioni seguenti.

La seconda parte inizia in corrispondenza dai versi di Shakespeare e finisce con l’aria di Mozart. E’ la parte più lunga della composizione e rielabora la contrapposizione tra voce e suono vista prima. Questa volta lo fa in chiave narrativa. Ciò che prima era un’opposizione irrisolta, qui prende la forma di un percorso che va dalla voce parlata a un canto di tipo tradizionale.
E’ la sezione più complessa ed elaborata del pezzo e, arrivati a questo punto, forse vale la pena di spendere qualche parola per spiegare il concetto di Canone in musica, tema del numero odierno della rivista.

Il Canone è un particolare strumento compositivo portato al suo apice di notorietà nel ‘500 dai compositori fiamminghi nella musica vocale sacra. Consiste nel creare un’unità attraverso la ripetizione di figure melodiche enunciate da voci diverse. Un esempio molto semplice di Canone è la melodia di Frà Martino Campanaro. Tutti quanti possiamo sperimentare come la melodia sia costruita in modo tale da potersi sovrapporre su se stessa: se una voce inizia a cantare la prima frase, proseguendo nel suo percorso, e una seconda voce si sovrappone, ripetendo la stessa prima frase a distanza di una battuta; si avrà un effetto di melodie asincrone che s’inseguono pur rimanendo perfettamente consonanti tra di loro. Il Canone, quindi, ha in sé l’elemento di ripetizione, ma anche quello di differenziazione timbrica e temporale. Il termine tecnico musicale, però, è preso a prestito dal termine generico di Canone, che indica una regola e di conseguenza un linguaggio e uno stile. Se possiamo considerare canonica la musica fino al ‘900 perché si esprimeva con delle regole linguistiche appartenenti a una koiné condivisa, dopo il superamento delle norme della musica tonale, i compositori si sono trovati ogni volta a creare un linguaggio nuovo per ogni pezzo. In questo caso il Canone inteso come regola, permette al compositore di portare avanti delle situazioni sonore creando una coerenza necessaria per sviluppare un racconto.

In questa seconda sezione si manifesta la mia declinazione di Canone. Mentre la voce costruisce il suo percorso dal parlato al cantato, gli strumenti realizzano una cornice formata da ripetizioni di pattern che si evolvono e si sovrappongono tra di loro secondo una regola. Questo processo mi ha permesso di creare una narrazione che, partendo da suoni di natura secca e percussiva, giunge a una situazione liquida, restituendo finalmente agli strumenti la loro funzione naturale di accompagnatori del canto.

Dopo un breve interludio strumentale, punto di arrivo del processo che caratterizza la seconda sezione, la narrazione arriva al suo punto culminante in corrispondenza della citazione di Goethe. E’ stato impossibile per me non prendere in considerazione il Lied di Schubert. In questo Lied, Gretchen am Spinnrade, il compositore accompagna al pianoforte il testo di Goethe con una figura circolare di sestine di semicrome che richiamano il movimento dell’arcolaio cui Margherita è assisa. Senza citare letteralmente Schubert ho creato anch’io una figura rotatoria, che allo stesso tempo è l’evoluzione finale del pattern del pianoforte visto nella seconda sezione. Il climax letterario e musicale appena raggiunto è contraddetto quasi subito da una delle citazioni volgari tratte da Tiqqun, accompagnata da un semplice accordo di Re maggiore, che è, contemporaneamente, l’espansione armonica della nota tenuta dai quattro musicisti nella parte iniziale della composizione.

La ripresa del testo di Goethe, infine, corrisponde a una coda che ripresenta tutti gli elementi trovati prima, in un’atmosfera rarefatta e senza tempo in cui la voce ritorna alla sua natura originaria di voce parlata.
Credo che questo pezzo esprima in maniera sistematica un’estetica fondata sul cortocircuito di elementi eterogenei, portatrice di molteplici livelli di lettura e comprensione proprio come la musica che più apprezzo.

Biografia

Lorenzo Romano

Lorenzo Romano (Firenze, 1985) studia composizione al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze con Mauro Cardi e Paolo Furlani. Nel 2010-2011 studia all’Universität der Musik und darstellende Kunst di Graz con Beat Furrer.
Ha seguito vari workshop con: H. Lachenmann, S. Gervasoni, S. Sciarrino, P. Hurel, R. Saunders, G. F. Haas. Nel 2010 ha vinto la borsa Edison Studio. Nel 2011 la sua opera da camera K. Frammenti dell’Attesa è stata selezionata per l’ Oper Project Graz e verrà eseguita in una coproduzione tra l’Università della musica di Graz e l’Opera di Graz.
La sua musica è stata eseguita in Francia, Austria, Germania (Bauhaus- Dessau), Italia (Roma- Ferrara- Firenze) e da esecutori come Donatienne Michel-Dansac, Pierre-Stéphane Meugé, Freon Ensemble, P.P.C.M., Bramada trio.
Una parte importante della sua produzione è rappresentata dall’ibridazione con altre arti. Fa parte di un gruppo di artisti fiorentini, ex puteo, e ha composto delle musiche elettroniche per un balletto. Si è laureato in Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Firenze nel 2008. Lavora come insegnante di teoria musicale e storia della musica presso Melodie in Concerto, è attivo come organizzatore di concerti (Disaccordi, Firenze) e, nel 2010, ha organizzato una performance di arte contemporanea legata alla musica per il Museo Pecci di Prato.

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