Una storia su Stille Nacht

Joseph

Joseph entrò nel duomo sorridendo. Era un bambino gracile, tossiva sempre un poco, soprattutto in inverno, e a Salisburgo l’inverno è lungo e pieno di giorni di neve. Le gambe magre nei calzoni troppo corti e pieni di rammendi erano però veloci quel giorno. Il vicario del coro del duomo l’aveva sentito cantare, aveva parlato con sua madre e gli aveva offerto la possibilità di studiare. Joseph certo non avrebbe immaginato che potesse succedere quando tremava di freddo nella piccola e buia casa al n. 31 di Steingasse.

Anna, sua madre, lavorava quando poteva per i magliai della zona. Veniva da Hallein, un piccolo paese a sud di Salisburgo, lì aveva imparato il mestiere nella bottega della madre Maria. Quando il padre di Anna era morto le due donne si erano trasferite a Salisburgo in cerca di miglior fortuna. Ma così non era stato.

A Salisburgo le aveva accolte una casa umida e fredda, addossata al Kapuzinerberg, il freddo della montagna penetrava nei muri scrostati, non c’era mai abbastanza legna per scaldare, né abbastanza patate da mangiare. Il fiume vicino poi faceva il resto.

Anna così si era ritrovata con grande facilità a seguire Franz, sperava che almeno lui la scaldasse, e le comprasse un vestito. Ma Franz era un disertore, la tenne calda qualche notte e poi sparì, lasciandole in dote quel piccolo bambino pallido. Maria si arrabbiò, si disperò, poi cercò semplicemente di lavorare di più. Arrivarono poi per Joseph un fratello e una sorella, frutto anch’essi delle medesime illusioni.

Joseph aveva da poco compiuto 10 anni quando entrava in duomo per incontrare il vicario.

Anche la sacrestia del duomo era fredda, e Joseph cominciò a tremare, un po’ di freddo, un po’ di paura.

Il vicario lo aspettava in piedi in fondo alla sala, era alto e scuro, e c’era troppo buio. Ma la voce del vicario fu invece calda e rassicurante quando gli si rivolse, gli parlò con gentilezza, gli chiese dei suoi fratelli, esplorò il suo desiderio di studiare e di cantare. Joseph piano piano si rilassò, le sue mani ripresero colore, le gambe smisero di tremare. Quando dopo un’ora usci dal duomo, era già buio, pochi lumi rischiaravano la via, ma il bambino ora non aveva più freddo né paura. Dal giorno seguente avrebbe cominciato a cantare nel coro del duomo e avrebbe cominciato a frequentare la scuola.

Quando fu chiaro che era Dio la sua strada, e che alla vita dell’anima avrebbe dedicato la vita, Joseph era troppo giovane per essere ordinato sacerdote. Ancora intervenne il vicario con una speciale autorizzazione. Nella sua stanzetta nel seminario di Salisburgo Joseph attendeva con un po’ di ansia di sapere dove la Chiesa cui desiderava ardentemente dedicare tutte le sue energie l’aveva destinato. E fu il vicario in persona a dirgli che il giorno seguente sarebbe partito per Mariapfarr nel Lungau, come sacerdote ausiliario.

Joseph preparò le sue poche cose, il cuore gli batteva nel petto, l’emozione del nuovo compito che andava ad affrontare si univa all’emozione che il nome del luogo cui era destinato gli aveva provocato. A Mariapfarr era la casa di suo padre, qual padre mai conosciuto ma di cui conosceva bene il nome, Franz Mohr.

Il 1816 fu un anno molto freddo. Un anno senza estate, si disse allora, il raccolto in gran parte perduto fu motivo di carestia e miseria. Padre Mohr cercava di aiutare tutti, era sempre più magro, ma sempre allegro, tutti gli volevano bene. Un giorno si avviò quasi senza pensare versa la casa paterna, una vecchissima fattoria dove ancora viveva suo nonno. E sempre senza pensarci si occupò fino alla fine di quel nonno troppo vecchio e troppo solo.

Una sera nella chiesa di Unsere liebe frau inginocchiato davanti all’immagine della Madonna adorata dai Magi, fissò a lungo quel bambino biondo e ricciuto cui dedicava tutte le sue forze e tutti i suoi pensieri. Sentì le lacrime scendere leggere, fu grato al vicario, al parroco e ai parrocchiani di Mariapfarr, alla madre lontana e al nonno ritrovato, fu grato ai grilli che sentiva cantare nel prato, e ai bambini scalzi che quel pomeriggio con gli occhi ridenti gli avevano tirato la tonaca per avere un altro pezzo di pane. Era un momento magico e irripetibile, padre Joseph lo capì. C’era un piccolo quaderno nero nel cassetto della sacrestia, e la penna e un calamaio pieno d’inchiostro.

Era una notte santa e silenziosa.

Franz

Nella vecchia cascina al numero 9 di Unterweizburg il 25 novembre del 1787 c’era grande agitazione.

I bambini correvano qua e là, Josephus Gruber aveva da qualche ora abbandonato il telaio, sua madre si affaccendava con panni puliti dalla camera da letto alla cucina.

Al piano superiore Anna, chiusa nella sua stanza, sapeva bene quello che sarebbe successo di lì a poco. Piano piano le contrazioni sarebbero aumentate di intensità e frequenza fino a darle pochi minuti di tregua. Poi avrebbe sentito irrefrenabile l’impulso a spingere, sempre di più, fino a quando finalmente anche quel piccolo bambino, il quinto ormai, sarebbe uscito da lei, e finalmente ne avrebbe sentito il pianto. Anna non era spaventata, si augurava solo che tutto finisse in fretta e soprattutto che il suo bambino stesse bene. Anche perchè lei aveva da fare, ce ne erano altri quattro da accudire, e il telaio aspettava anche lei.

Era già buio quando finalmente Franz urlò a squarciagola, “pare che canti” disse la nonna, e non sapeva che gli stava in qualche modo predicendo il futuro.

Franz crebbe con i fratelli in quella casa circondata dai prati che diventavano azzurri alla fioritura del lino, e ben presto imparò a raccoglierlo senza rovinare le fibre sottili, a batterlo e lavorarlo fino ad ottenerne fili robusti, e a tesserlo, nella grande macchina di legno che a volte gli faceva un po’ paura. Quando il raccolto era abbondante e le commesse aumentavano, la macchina cigolava e piangeva anche di sera, Anna dormiva le prime ore della notte poi si alzava e toccava a  Josephus dormire mentre lei prendeva il suo posto al telaio. In quelle notti il lume rimaneva sempre acceso e Franz sentiva nel sonno il battere secco del pettine ad avvicinare i fili e compattare il tessuto, sentiva il rumore sordo dei pedali e a volte il fruscio della spoletta che passava veloce nell’ordito. Al mattino, quando tutti si alzavano, la mamma era già nella cucina fredda, la faccia pallida e stanca e la crocchia disfatta, a preparare pane e latte.

A nove anni, come i suoi fratelli e sorelle, Franz venne messo al telaio. Era così piccolo che i primi tempi aveva dovuto rimanere in piedi, ma era un bambino intelligente e imparò prima degli altri.

Tutto il giorno però Franz aspettava il momento magico in cui avrebbe potuto correre in mezzo ai campi azzurrini per andare a casa del maestro Andreas che lo aiutava a coltivare la sua grande passione, la musica, insegnandogli a leggerla e a cantare e a suonare il vecchio organo della cappella.

Josephus non approvava per nulla questo suo impegno pomeridiano, il tempo nella sua famiglia andava passato al telaio, così succedeva da generazioni, e questo figlio strambo che voleva diventare musicista proprio non lo capiva.

Ma l’ardore con cui Franz si dedicava alla musica suo malgrado lo convinse. Non si può impedire all’acqua di scorrere, né al sole di nascere.

E così Franz finalmente potè studiare tutte le ore del giorno, e suonare un piccolo strumento finalmente suo, e imparare, guidato dal suo maestro Andreas, a insegnare, perché questo desiderava fare da grande.

E’ una tiepida sera di settembre e Franz ha vent’anni quando in calesse raggiunse il luogo del suo primo incarico. Avrebbe insegnato nella scuola di Arndorf, diretto il coro e suonato l’organo della chiesa e questo gli avrebbe consentito di abitare nella canonica.

Lo accolse in quella sera qualsiasi di settembre la giovane vedova del sacrestano scomparso da pochi mesi. Maria Elisabeth era una donna pallida e delicata, aveva 13 anni più di Franz ma il suo corpo era esile come quello di un’adolescente.

Franz l’avrebbe sposata qualche mese dopo.

A Oberndorf invece ci arriverà per bisogno. I soldi non bastano mai e in fondo 4 chilometri a piedi non sono poi tanti. Comincia così a frequentare il paese, diventa organista della chiesa di San Nicola e maestro del coro e fa amicizia con il giovane aiuto prete, Joseph, un ragazzo animato da tanta buona volontà che condivide con lui l’amore per la musica.

Il pomeriggio del 24 dicembre 1818 Franz sta tentando di suonare l’organo nella chiesa gelata.

Cerca di approfittare dell’ultima luce del giorno che filtra dalle grandi vetrate ma le mani sono irrigidite dal freddo e il pastrano non basta a dargli un po’ di calore.

Padre Joseph prega in ginocchio di fronte all’altare. Poi veloce, come se un pensiero improvviso gli avesse attraversato la mente, si alza, china gli occhi e piega di nuovo un ginocchio, rapidamente segna su di sé la croce, se ne va e subito ritorna, con un piccolo quaderno nero fra le mani.  Arrossendo un poco mostra a Franz una poesia, sono 6 strofe dedicate a Dio. Sorride e gli dice “proviamo a vestire con una melodia questi versi, li canteremo insieme stanotte dopo la messa”.

Franz lo guarda, vorrebbe arrabbiarsi, dire “non c’è tempo, abbiamo altro da fare, e poi è così freddo, ci vorrebbe una bella tazza di cioccolato caldo, e poi fuori comincia a nevicare e io devo fare quattro chilometri, e altri quattro per tornare stasera”  poi pensa al suo piccolo bimbo che da tre giorni non c’è più, pensa a quanto è triste Maria Elisabeth, a quanto dolore c’è sempre intorno a loro, ma anche all’assoluto desiderio di sperare che vede in tutte le persone che incontra.

Lo vede negli occhi dei suoi scolari, che spesso deve anche nutrire col poco che ha, e negli occhi delle loro madri, che tutti i giorni sperano di poter mettere in tavola una patata in più.

E allora prende il quadernino nero, legge d’un fiato, e d’un fiato scrive, note leggere, sopra le righe.

E quella notte dopo la messa cantarono insieme quel canto di speranza, accompagnandosi con una chitarra.

Era la notte di Natale del 1818 nella chiesa di San Nicola a Oberndorf, nel Salisburghese.

Joseph Mohr (Salisburgo 11 dicembre 1792 – Wagrain 4 dicembre 1848) e Franz Xaver Gruber (Hochburg 25 novembre 1787- Hallein 7 giugno 1863) sono gli autori di Stille Nacht

                                                                                                 ©  Katia Dal Monte. 2018